domenica 15 dicembre 2019

La magia delle illusioni: Percorsi tra arte, percezione e realtà

Escher, Concavo e convesso (particolare), litografia, 1955
Escher, Concavo e convesso (particolare), litografia, 1955, Di MARCO AURÉLIO ESPARZ…, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=54369645
Di Marcella Gherzi

Perché vediamo? Ciò che vediamo corrisponde a ciò che c’è ‘là fuori’? La capacità di vedere è innata o acquisita? Perché in alcune situazioni siamo vittime di “inganni  visivi”?
Nel  workshop La magia delle illusioni ho cercato di dare delle risposte a questi interrogativi attraverso la sperimentazione degli  ‘inganni visivi’ cioè di quegli effetti visivi illusori che da sempre hanno affascinato l’osservatore ‘ingenuo’, ma anche ispirato molti artisti e incuriosito gli psicologi della percezione che li hanno studiati per arrivare ad una migliore comprensione dei meccanismi della visione.



Arte e percezione sono inscindibili, è questo rapporto che va indagato per capire i profondi e molteplici significati dell’espressione artistica.
L’arte non va considerata solo piacere estetico, ma trova la sua forza espressiva negli “effetti” che provoca su di noi, nella sua capacità di generare emozioni, affascinare e sorprendere. E questo è il tema di molti artisti come Escher con le sue geometrie impossibili, Dalì con le sue visioni surreali, Vasarely e i protagonisti dell’arte cinetica e molti altri che hanno coniugato l’espressione artistica a una ricerca visuale volta a coinvolgere i meccanismi percettivi dell’osservatore.

‘Cascata’ del 1961 di Escher
Emblematica tra le opere degli artisti citati è ‘Cascata’ del 1961 di Escher dove l'acqua fa un percorso assolutamente irrazionale per scendere sulle pale del mulino il quale, a sua volta, spinge il flusso in un canale che, zigzagando, torna all’inizio della cascata, in un movimento perpetuo che sembra autoalimentarsi.

Siamo partiti proprio dall’indagare i meccanismi attraverso i quali il nostro sistema visivo percepisce ed elabora la realtà sperimentando ‘in diretta’ le sensazioni visive e l’impatto con alcune immagini, scelte ad hoc, che ci hanno guidato nell’esplorazione del nostro ‘vissuto percettivo’.

Anche se ci sono alcune analogie, scopriamo che l’occhio non è una macchina fotografica, cioè non registra puntualmente e passivamente la realtà fenomenica ma la rielabora secondo determinati principi organizzativi. In netta opposizione con le teorie empiriste, gli psicologi della Gestalt (teoria della forma) affermano l’esistenza di principi conoscitivi e comportamenti innati nell’uomo indipendenti dall’esperienza, tra i quali risiedono le strutture percettive, comuni a tutti gli uomini.

‘Non tutto il percepibile viene percepito’, sostengono i teorici della Gestalt; vale a dire che noi  ‘preferiamo’ alcune forme che hanno maggiore ‘pregnanza’ rispetto ad altre perché siamo ‘precablati’ per interagire col  mondo grazie a strutture interne innate.
La visione si può quindi definire come ‘il processo psicologico di creazione di un’immagine interna, del mondo esterno'.
Noma Bar, artista e illustratore che con pochi tratti rende immediatamente riconoscibile un personaggio famoso
Vedere, secondo la teoria della Gestalt significa afferrare alcune caratteristiche significative di un oggetto; vale a dire, seguendo gli studi di R. Arnheim, che pochi segni selezionati sono sufficienti per identificare un soggetto, un volto, come, ad esempio, sa fare molto bene Noma Bar, artista e illustratore che con pochi tratti rende immediatamente riconoscibile un personaggio famoso. Sempre lo stesso artista utilizza lo ‘spazio negativo’ cioè la proprietà dello sfondo di essere anche figura, riuscendo a creare ambiguità visive ricche di suggestioni e significati.

Uno dei dati più sorprendenti del processo visivo è proprio la capacità del cervello di ricostruire e completare l’immagine retinica, anche con scarse informazioni. Questo è il caso del ‘completamento amodale’ studiato da Gaetano Kanizsa, psicologo della percezione formatosi alla scuola della Gestalt, di cui ricordiamo il famoso ‘triangolo’, percepibile distintamente senza che i suoi contorni siano realmente disegnati.

Gaetano Kanizsa, psicologo della percezione formatosi alla scuola della Gestalt, di cui ricordiamo il famoso ‘triangolo’, percepibile distintamente senza che i suoi contorni siano realmente disegnati.
Triangolo di Kanizsa - Fonte: Fibonacci - Opera propria - https://it.wikipedia.org/wiki/Gaetano_Kanizsa#/media/File:Kanizsa_triangle.svg
Sono sempre gli psicologi della Gestalt che ci mettono in guardia sul fatto che i dati sensoriali non sono sempre veritieri, e questo è il motivo per cui vediamo discrepanze percettive, effetti illusori, paradossi visivi tridimensionali che ‘destabilizzano’ le nostre conoscenze sulla prospettiva e infrangono le regole della rappresentazione spaziale.

Altri importanti contributi alla comprensione dei fenomeni percettivi vengono dalla teoria ecologica di Gibson secondo la quale le informazioni percettive sono già contenute nella  stimolazione ‘nuda e cruda’ che ci arriva in maniera diretta dall’ambiente; Gibson chiama queste informazioni   ‘affordances’ e queste costituiscono le invarianti strutturali presenti nell’ambiente che ci guidano nella percezione dei rapporti spaziali.

Gli psicologi del New look, in particolare Bruner, negli anni ’60,  partono invece da una visione funzionalista della percezione che è generata dall’interazione di più fattori:  stati emotivi, bisogni, esperienze precedenti, motivazioni, informazioni di contesto, aspettative e  interessi.

In epoca recente, grazie alle ricerche delle neuroscienze, e in particolare alle scoperte di R.Sperry sulla ‘lateralizzazione’ del cervello,  si è compreso che i due emisferi destro e sinistro, presentano significative differenze funzionali: mentre la funzione di organizzare il linguaggio è un aspetto caratterizzante dell’emisfero sinistro, l’emisfero destro ha invece la capacità di percepire in modo globale un quadro, una mappa o un insieme di immagini, cogliendo i rapporti presenti tra gli elementi che li compongono.

Da tali studi, applicati alla comunicazione persuasoria e al marketing, si è  ipotizzato che il cervello analogico domini il 70% delle scelte di acquisto dei prodotti e servizi. Ogni messaggio pubblicitario in pratica “si scompone” nel cervello del destinatario ed è decodificato in due modi differenti: logico (parola, ragionamento, pensiero logico deduttivo) e analogico (automatismi, emozioni, impulsi).

Arte e percezione un binomio che soprattutto oggi, bombardati come siamo da un numero infinito e ridondante di immagini digitali, ci ricorda che l’immaginazione e la capacità di stupirsi sono un nostro bisogno e lasciare che i nostri sensi siano piacevolmente ‘ingannati’ rende l’esperienza visiva  veramente unica e irrinunciabile.

Marcella Gherzi, Psicologa e Psicoterapeuta di formazione cognitivista, specializzata in tecniche creative e di comunicazione, iscritta al registro formatori AIF, è docente presso IED Roma e AANT nei corsi accademici di I° livello per le materie “Teoria della percezione e psicologia della forma”  “Ultime tendenze delle arti visive” e “Semiotica dell’arte”.

Cofondatrice di Damaresearch, svolge consulenze strategiche per le PMI nelle ricerche di mercato qualitative e nella formazione aziendale.

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