di Beatrice Lomaglio
Lo scorso 16 maggio, nell'ambito del ciclo #cassettadegliattrezzi del formatore, abbiamo affrontato un tema che sta a cuore non solo ai formatori, ma - in generale - a tutti i liberi professionisti: quello del self branding.
A essere sincera, questa espressione non mi piace molto, in quanto rimanda all'idea - non troppo piacevole - che una persona diventi un brand, subendo una sorta di trasformazione in oggetto. Eppure, ci siamo detti, dato che è inevitabile che gli altri ci "etichettino", tanto vale essere noi a scegliere con quale "etichetta". In altre parole, dovremmo poter rispondere alla domanda: come vogliamo che gli altri ci vedano?
Ecco alcuni dei concetti chiave emersi nel corso del workshop:
- per capire quale può essere il nostro brand dobbiamo prima di tutto capire chi siamo: le risorse che possiamo mettere a disposizione, i ruoli che ci piace interpretare, ciò che ci appassiona
- solo una volta capito che messaggio vogliamo dare possiamo pensare a come comunicarlo
- il messaggio deve essere semplice e non dobbiamo aver paura di ripeterlo spesso: la ridondanza nella comunicazione paga!
- comunicare, anche sul web, richiede impegno: non è consigliabile improvvisare, ma ricordiamoci che essere professionali richiede tempo, fatica e anche un minimo di investimento (il web è uno strumento a basso costo, è vero, ma non a costo zero!)
Durante il workshop abbiamo visto come per un brand sia essenziale essere al primo posto nella mente del cliente. Per riuscirci è fondamentale individuare il proprio segmento di mercato, ovvero quei clienti per i quali davvero si può fare la differenza. Non penseremo davvero di poter competere con tutto il mondo, vero?
Abbiamo analizzato tanti esempi di personaggi che hanno puntato su un elemento differenziante, riuscendo a diventare un brand riconosciuto in segmenti di mercato più o meno ampi. Non volendo fare nomi di coach e formatori, mi limito a citare quello che oggi, in Italia, è un brand a tutti gli effetti: lo chef Carlo Cracco, che in un noto spot si può permettere di dire - entrando in casa - "qui sono solo Carlo".
Un esercizio che ho proposto durante il workshop è quello di immaginare un articolo di giornale che parli di noi. Che giornale è? Perché parla di noi? Ecco una tecnica di coaching che, proiettandoci nel futuro, ci aiuta a immaginare come vorremmo essere visti e per che cosa vorremmo essere apprezzati.
E' da lì che dovremmo partire.
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