martedì 28 gennaio 2020

Gli stivaletti argentati, mia nipote, e lo Storytelling

Gli stivaletti glitter di Sofia sono al centro di un gioco che ci porta a parlare di storytelling

Il gioco inventato da Sofia ci dà lo spunto per fare un po’ di ordine tra i vari autori e i vari modelli che sono “presi a prestito” dai formatori per le loro sessioni di storytelling

Di Stefano Pellegrini

Come tutti i terroni, sono al paesello per Natale.
Questo significa anche recuperare il tempo con la mia nipotina di 4 anni, Sofia, con grande soddisfazione della mamma, che può tirare un respiro. Io e Sofia siamo seduti per terra, io le sfilo le scarpe, degli stivaletti argentati ("glitterati" precisa lei), e Sofia cerca di riprenderli. Il gioco evolve in modo spontaneo fino a creare uno schema preciso:
  1. Sofia va a dormire sotto il tavolo, come fosse la sua casetta: si toglie il fiocco rosso dai capelli, appoggia fuori gli stivali dicendo ad alta voce “Speriamo che nessuno me li rubi!”, e si mette a "dormire".
  2. Io, che sono seduto per terra, mi metto le scarpe dietro la schiena (o meglio, tra la mia schiena e il divano);
  3. Sofia si “sveglia”, non trova le scarpe, e si dispera (“oh no!”, dice portandosi le mani ai capelli). La disperazione non le impedisce di rimettersi il fiocco.
  4. Sofia prende un piccolo giocattolo che fa rumore e lo agita sulle membra del mostro (io), che per il solletico si ritrae, rivelando gli stivaletti argentati.
  5. Sofia si infila tra me e il divano, arriva agli stivaletti, li prende e scappa
  6. Io l'afferro e la riempio di baci, mentre lei fa finta di divincolarsi.
Il gioco le piace così tanto che quando mia sorella le dice che è ora di andare, chiede di farlo ancora una volta. Che poi diventano tre. Che poi diventano cinque.
E proprio alla quinta mi giro con un’espressione idiota verso mia sorella. 
“È la struttura della fiaba!” esclamo.

C’è tutto. Il tesoro rubato dall’Orco, e posto in una “grotta”. L’eroe che lascia la sua terra (il tavolo), e con l’aiuto di un oggetto magico (il giocattolo che fa rumore) va nella grotta, e riprende il tesoro. C’è persino l’inseguimento dell’orco, e la fuga dell’eroe.
Guardiamo lo schema di Vladimir Propp (che approfondiremo più avanti), e la struttura che emerge dalla sua analisi della fiaba russa:

Lo schema della fiaba elaborato da Vladimir Propp
Fonte: http://bethwilsonasmedia.blogspot.com/2016/02/propps-character-theory-and-narrative.html

Vi assicuro che Sofia non ha mai letto saggi russi. Eppure, semplicemente giocando, abbiamo spontaneamente riprodotto la struttura delle favole slave, e con impressionante precisione. Mi sembra un'ulteriore testimonianza di quanto la narrazione sia incisa in profondità nelle nostre sinapsi. E mi ricorda quale potente strumento sia lo storytelling, che è il nome fico che abbiamo dato al raccontare fiabe, nella formazione e nella comunicazione. 
Colgo l’occasione per fare un po’ di ordine tra i vari autori e i vari modelli che sono “presi a prestito” dai formatori per le loro sessioni di storytelling.

I modelli più utilizzati: Propp, Vogler e Campbell


I modelli utilizzati sono solitamente due, simili ma non identici: quello che si rifà a Propp e quello che si rifà a Campbell. Vediamo questi autori e le loro opere principali.

Vladimir Propp, “Morfologia della fiaba”


Vladimir Propp, la morfologia della fiaba

Propp era un antropologo e linguista, che analizzando la fiaba russa si rese conto che aveva sempre la stessa struttura e sempre gli stessi personaggi, pur in infinite varianti. La sua tesi di base era che le fiabe fossero il racconto - deformato dal tempo e di diversi valori che erano sopravvenuti - degli antichi riti di iniziazione, ovvero di passaggio all’età adulta, che era ancora possibile trovare nelle moderne tribù di cacciatori e raccoglitori. Il senso ultimo di questo rito era: il bambino muore, nasce l’adulto. 

Ripercorriamo i punti chiave del modello con un esempio conosciuto: Hansel e Gretel
  • Il padre accompagna i bambini nel bosco: il bosco è dove vivono gli animali, che sono gli spiriti dei defunti in altra forma; il bosco porta al regno dei morti. 
  • I bambini incontrano la strega: secondo Propp, la figura della strega è un ricordo deformato di antiche sacerdotesse, a cui si attribuiva il dominio sugli animali e quindi sui morti. La strega ha infatti spesso attributi legati al mondo della morte o agli animali, per esempio Baba Yaga, la strega per eccellenza delle favole russe, vive in una casa che poggia su zampe di gallina. 
  • I bambini vengono poi “inghiottiti” da qualcosa: è la morte rituale. Nel caso di Hansel e Gretel, i bambini finiscono nel forno; nelle tribù di cacciatori raccoglitori, i bambini entrano in una capanna a forma di animale, dove vengono feriti in vario modo, e alle madri viene detto che i loro figli sono morti. 
  • I bambini escono dall’inghiottimento, e trionfano: il bambino è morto, emerge l’adulto. Hansel e Gretel escono dal forno, e uccidono la strega. Ormai adulti, i bambini tornano a casa, cioè ritornano nella comunità.
Theodor Hosemann Hansel e Gretel
Theodor Hosemann - Hansel e Gretel

Propp identifica inoltre una serie di “ruoli” che ricorrono nelle favole, e sono: 
  • L’eroe
  • L'antagonista
  • Il “mandante”: manda via l’eroe
  • L'aiutante: ad esempio il mago
  • La principessa o il premio
  • Il padre di lei: assegna compiti all’eroe
  • Il donatore: fa un dono magico all’eroe
  • Il falso eroe: la persona che si prende il merito delle azioni dell'eroe o cerca di sposare la principessa.

Joseph Campbell, “L’eroe dai mille volti” 


Joseph Campbell, “L’eroe dai mille volti”

Campbell arriva a conclusioni simili, partendo da presupposti completamente diversi. Campbell è, essenzialmente, uno psichiatra (vecchia scuola. Freud, Jung e dintorni) appassionato di mitologia sin da piccolo. Dopo un po’ comincia a notare cose curiose: i sogni che gli vengono raccontati dai suoi pazienti sono straordinariamente simili a miti oscuri, dionisiaci o eschimesi, che i pazienti non conoscono. 

Elabora quindi una teoria: quello che è il sogno per l’inconscio individuale, è il mito (e il rito) per l’inconscio collettivo. E, come Propp, nota che i miti di tempi e culture diverse hanno sempre la stessa struttura, che si ripete da migliaia di anni: nasce così il concetto di “Monomito”.  Secondo Campbell, ogni mito è la diversa declinazione della stessa storia, che è una storia di crescita psicologica: prima eravamo bambini, protetti, nella terra felice della nostra infanzia; poi ci siamo dovuti avventurare nel mondo, prima protetti da mentori adulti, poi da soli; infine abbiamo sconfitto i nostri draghi, e siamo tornati a casa ma trasformati, cresciuti. 



Campbell ritiene che il mito (e il rito, che è la sua rappresentazione) avesse una funzione fondamentale: aiutare l’individuo nelle fasi di cambiamento, per definizioni traumatiche. Grazie al mito, le persone potevano “dare un senso” al cambiamento, e, grazie al rito, sentire di non essere soli e di avere invece il supporto di tutta la comunità.

Prendiamo la religione cattolica, per fare un esempio conosciuto. Quali sono i suoi riti fondamentali? Il battesimo, che celebra il venire al mondo di una nuova vita. La comunione e la cresima, con cui si entra nella comunità degli adulti. Il matrimonio, cioè l’inizio della vita familiare e di coppia. L’estrema unzione e il funerale, che aiutano l’individuo e la collettività ad accettare e processare il cambiamento traumatico per definizione, la morte. Secondo Campbell, nella nostra furia illuminista e razionalista non abbiamo compreso la funzione dei miti, li abbiamo buttati via bollandoli di oscurantismo e superstizione, lasciando l’uomo senza supporto psicologico nell’affrontare la vita e i suoi mutamenti. Quando abbiamo abolito gli stregoni, dice Campbell, sono nati gli psichiatri. 

“L’eroe dai mille volti” ebbe un enorme impatto sulla cultura collettiva; per dirne una, George Lucas lo ha seguito passo passo nella stesura di “Guerre Stellari”.
Nella formazione è forse il modello più utilizzato, ma è anche il più complesso, e personalmente ritengo che debba essere usato con attenzione: parlare di “superamento della prima soglia” con persone digiune di elementi di storytelling può essere complicato, e se si ha poco tempo può farne perdere molto in spiegazioni.

Christopher Vogler, “The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers”


Christopher Vogler, “The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers”

Christopher Vogler è uno sceneggiatore statunitense di Hollywood. Ha lavorato per la Disney ed insegna alla UCLA. Vogler prese Campbell, lo semplificò, e lo trasformò in un manuale pratico per sceneggiatori del cinema, pubblicato in italiano come “Il viaggio dell'eroe”. Dei tre volumi che abbiamo analizzato finora, è probabilmente il più semplice da affrontare. Pensate a “Il Re Leone”, o a “Matrix”, o “Hunger Games”: troverete esattamente la stessa struttura, perché hanno tutti come modello “Il viaggio dell’Eeoe”.

Lo schema SOAR


Lo schema narrativo più semplice, e che io preferisco utilizzare almeno per iniziare a lavorare sullo storytelling, è il cosiddetto schema SOAR: 
  • Situation: Situazione iniziale. Tutto va bene. Es. I bambini giocano felici nel parco.
  • Obstacle. Succede qualcosa di brutto Es. I bambini si sporcano tutti! 
  • Advance: L’eroe supera l’ostacolo. Es. La mamma usa il detersivo X.
  • Results: conseguenze positive del superamento dell’ostacolo. Es. Tutto torna pulito. I bambini possono tornare a giocare nel parco.
Lo schema SOAR è una specie di ultrasintesi dello schema identificato da Propp, e individua gli step minimi per costruire una storia. Molte pubblicità utilizzano questa struttura, anche per i tempi ristretti in cui deve inserire una narrazione. Per lo stesso motivo, può essere utile nel definire un discorso breve (Elevator Pitch o Sales Pitch).

Conclusione: l’animale che racconta


Jonathan Gottschall, nel suo “The storytelling animal”, arriva a dire che il tratto unico della razza homo sapiens non è la capacità di usare strumenti; quello lo fanno anche molti dei nostri cugini pelosi. Non siamo "l’animale che usa il bastone"; siamo l’animale (l’unico) che racconta storie. E le storie, che altro non sono che modi di interpretare il mondo, diventano religione, politica, e alla fine Storia, con la S maiuscola. Non c’è niente di più potente del raccontare una buona storia, perché la sua forza è atavica, incisa nei nostri geni fin dalla più tenera infanzia.

Se non mi credete, chiedete a Sofia.

Per approfondire (bibliografia)


  • Vladimir Propp, “Morfologia della fiaba”
  • Joseph Campbell, “L’eroe dai mille volti” 
  • Jonathan Gottschall, “The storytelling animal”
  • Christopher Vogler, “The Writer's Journey: Mythic Structure For Writers” (in italiano, dal titolo “Il viaggio dell’eroe)
  • Andrea Fontana, “Storytelling d’impresa”

Strumenti per formatori


Esistono vari set di carte che riprendono lo schema di Propp o di Campbell, e che possono essere utilizzati per facilitare workshop:

Fabula si rifà a Campbell e Vogler

si rifà a Campbell e Vogler


Le carte di Propp


Sono inoltre interessanti vari strumenti che possono essere usati come fonte di ispirazione per delle storie:

Storycubes sono dei dadi con elementi narrativi (invece che numeri) sulle facce.

sono dei dadi con elementi narrativi (invece che numeri) sulle facce


Stefano Pellegrini si occupa di design e implementazione della formazione in Novartis, dove gestisce la formazione degli informatori medico-scientifici. E' inoltre membro del direttivo Lombardia dell'Associazione Italiana Formatori (AIF), e coordina il team Academy del movimento politico Volt per la città di Milano.


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Il viaggio dell’eroe: I miti dal cinema alla formazione (su AIF Learning News)


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